Quello che non si può dire


Ovvero: come l’ovvio sia diventato oggetto di censura

 


Sollecitato da una chiacchierata con il mio caro amico, ho riflettuto sul fatto che, chiunque abbia un minimo di pratica nella vita in un paese occidentale, anche se qui ci concentriamo sull’Italia, il discorso è abbastanza universale, avrà chiaro che vi sono temi dei quali non si può parlare, pena, il posto di lavoro, la carriera, il rifiuto sociale.

 

Non male per definirci la culla della civiltà e i difensori della libertà nel mondo. 

 

Quello di cui non si può parlare non è poi così ampio come spazio narrativo, ma neppure così piccolo. 

 

Oggi trattiamo il tema di ciò che non si può dire in ambito lavorativo. 

 

In ambito lavorativo non si può dire che le cose vanno bene. O che vi sono delle priorità etiche che sono di ingombro a quelle economiche. 

 

Se non credete a quello che dico, guardatevi attorno: ponti cadono giù e mi sembra che non ci siano condannati o persone in carcere. Anzi, chi aveva la responsabilità per quel crollo è ancora più ricco di prima. 

 

Certo, nella forma, nelle parola, l’etica deve sempre avere la priorità, ma, nella prassi, nei fatti, ciò che conta è il guadagno. 

 

Pensate che gli americani abbiano fatto una ritirata disorganizzata dall’Afghanistan? No. Hanno fatto una ritirata economica. Economica almeno per tutte le numerose forze, quali Blackwater (ora Academi), che gestivano il grosso dello sforzo, se non bellico, logistico (che è di gran lunga il più importante). 


Blackwater founder Erik Prince offering Afghanistan evacuation flights for $6.5K a person

 

Ma si può parlare di questo? No. È stata solo una ritirata mal gestita. Questo è il Verbo. Incontestabile.  

 

D’altronde di verità ne esiste una sola, giusto? 




Commenti

Post popolari in questo blog

Estinzione III - Perché le macchine NON ci salveranno