Di costi e benefici
Ovvero perché gli ammerigani1 hanno deciso, saggiamente, di andarsene dall’Afghanistan.
Ho ricevuto un commento al mio precedente post, shorturl.at/glyEL, che mi chiede di delineare perché gli ammerigani1se ne stiano andando dall’Afghanistan, peraltro in modo abbastanza precipitoso, quando, in potenziale, avrebbero i mezzi per rimanerci.
Ora, la guerra per l’Afghanistan trova le sue motivazioni in razionali politici ed in particolare nella necessità di incanalare verso l’esterno quei sentimenti nati a seguito degli attacchi dell’11 settembre.
Se osserviamo la cartina dell’Asia, vedete in calce, sarà subito ovvio che l’Afghanistan è una regione decisamente scomoda per gli Stati Uniti da gestire, prova ne è che il loro ritiro stia avvenendo, sostanzialmente, in modo esclusivo tramite un ponte aereo. Ciò vuol dire, che in termini logistici, l’Afghanistan ha un rapporto costi/benefici tendente all’infinito. Adesso che gli Stati Uniti devono compattarsi per far fronte alla competizione con la Cina, una spesa così massiva per un beneficio, in termini geopolitici, sostanzialmente nullo non ha senso.
Per la Cina, invece, l’Afghanistan rappresenta un paese interessante, in quanto potrebbe costituire un punto di passaggio per le vie della seta.
Vi domanderete, allora, perché gli Stati Uniti cedano al loro rivale una posizione che per lui ha un interesse non irrilevante. Semplice. Perché per gli stati uniti, così come per gli inglesi prima di loro,
l’impero si esprime tramite la talassocrazia. Le vie di terra sono costose, insidiose e facilmente attaccabili.
Pertanto, per gli Stati Uniti ha senso concentrarsi sulle risorse navali ed iniziare a pensare seriamente alla questione Taiwan piuttosto che continuare a spendere risorse in una partita che ha valore sostanzialmente nullo per loro.
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